A Cagliari siamo in campagna elettorale, e dall’esplosione di post sui social si capisce che stiamo entrando nel vivo. Ammetto che sia un periodo entusiasmante ma anche impegnativo quello in cui ci si propone per rappresentare e ci si mette ancor più in discussione per quel che si è fatto in questi anni e immaginando quel che si può fare nei prossimi anni.
E proprio su questo credo che valga la pena soffermarsi un po di più e guardare a esperienze che possono darci spunti interessanti. I giorni scorsi son stato a Torino con Ilda Curti, Erika Mattarella, Giuseppe Piras,Giangavino Pazzola, dove si è parlato per due giorni delle Case del Quartiere e della possibilità che politiche del genere trovino attuazione in altre città d’Italia.
“Le Case del Quartiere di Torino sono luoghi aperti e pubblici; laboratori sociali e culturali nei quali si esprimono pensieri e vissuti collettivi; spazi che avviano esperienze di partecipazione, coinvolgimento e auto-organizzazione.”
A Cagliari abbiamo già preso i bagni municipali di San Salvario a modello per la riqualificazione dell’Ex Hangar a Is Mirrionis (finanziato con i fondi europei 2014-2012 per l’Investimento Territoriale Integrato seguito dalla bravissimaBarbara Cadeddu); abbiamo l’ex liceo Artistico in piazzetta Dettori per cui partiranno i lavori di ristrutturazione a breve e che sarebbe una bellissima casa del quartiere della Marina; abbiamo l’ExMè e l’ex scuola di via Santa Maria Goretti in cui con Maria Teresa Todde, Nicolò Fenu, Francesco Cocco eLuisella Ghiani abbiamo organizzato la mitica cena del quartiere di Santa Teresa a Pirri alla fine del progetto Mano fortemente voluto da Enrica Puggioni in quel quartiere. E ci sono i centri di quartiere di aggregazione per i minori che Luigi Minerba ha inaugurato in questi mesi con la Casa della salute di Sant’Elia che vedrà la luce entro la fine dell’anno. E proprio oggi tante associazioni culturali si ritrovano per ragionare sulla gestione della ex Manifattura Tabacchi, la “fabbrica della creatività” che speriamo tra poche settimane la Regione riaprirà alla collettività dopo i fasti del Festarch.
Sono solo alcuni spunti che ci fanno capire come il patrimonio comunale possa essere messo a disposizione delle comunità, e la modalità con cui si deciderà di operare non sarà indifferente. A Torino hanno puntato sull’auto-organizzazione per creare luoghi che siano agorà, botteghe, incubatori e sul sistema di rete spiegato in un Manifesto molto interessante.
In questo articolo che ho scritto per Sardarch ci sono molte informazioni utili di cui possiamo partire per discutere assieme in questo mese di confronto intenso sulla nostra città.
UN NUOVO SPAZIO PUBBLICO NELLA CITTÀ CONTEMPORANEA: LE CASE DEL QUARTIERE – Sardarch Architettura
Dare una definizione univoca delle Case del Quartiere non è semplice, e forse, oggi non è ancora opportuno farlo. Le Case del Quartiere sono un frutto delle politiche pubbliche che la città di Torino ha portato avanti negli ultimi vent’anni, grazie alla visione di amministratori visionari e illuminati come Ilda Curti. Questi spazi nascono da politiche innovative di rigenerazione urbana sviluppate a partire dalla fine degli anni Novanta grazie agli stimoli delle istituzioni europee e da un’attitudine della Città a sperimentare e realizzare idee e progetti con il contributo e la creatività della cittadinanza.
Le case del quartiere sono luoghi del “fare insieme”. Luoghi ad alta intensità relazionale. Sono luoghi in cui si offre la possibilità alle persone di prendersi cura di un pezzo del proprio quartiere.
Luoghi di riparo e di sosta in cui convivono funzioni in teoria poco compatibili tra loro (il sociale e il commercio, il gioco e l’impegno, il lavoro e il divertimento). Sono agorà contemporanei: luoghi di ascolto, in cui è stimolata continuamente la voce dei cittadini utenti delle case e abitanti di esse, in cui l’organizzazione (la governance si dice oggi) è orizzontale e la presa di decisioni è trasparente. Sono botteghe, luoghi dove si impara qualcosa facendo insieme agli altri, e sono incubatori che aiutano le idee a crescere, superando il divorzio tra principio di piacere e il principio di realtà. Sono luoghi in cui si favorisce l’inclusione: tutti trovano cittadinanza e la presenza di chi è vulnerabile è l’antidoto contro una logica mercantile.
Nel 2007 nasce la prima Casa di Quartiere in una zona periferica della città: Cascina Roccafranca. Negli anni seguenti si sviluppano nuove esperienze in altri quartieri della città, attraverso percorsi e storie differenti ma con una base comune: spazi ad uso pubblico riqualificati, grazie alla collaborazione tra istituzioni pubbliche, fondazioni bancarie, imprese sociali, associazioni e cittadini, luoghi che diventano spazi per la popolazione.
Da maggio 2012 la Città di Torino, attraverso l’assessorato alla rigenerazione urbana, insieme alla Compagnia di San Paolo, ha invitato i soggetti gestori delle Case a riunirsi intorno ad un tavolo con il proposito di coordinare le attività delle stesse attraverso il consolidamento di una rete per mettere in comune conoscenze, esperienze e progetti. Il desiderio di costruire una regia della Rete delle Case del Quartiere, diventa una concreta possibilità nell’aprile del 2014, con il progetto “Di Casa in Casa” che vince il primo premio (del valore di 100.000 euro) del Bando nazionale per la Cultura “Che Fare2”.
Ad oggi le Case del Quartiere a Torino sono 9, ognuna in una zona diversa, coprendo quasi completamente il territorio cittadino :
- Cascina Roccafranca (Mirafiori Nord),
- Casa del Quartiere di San Salvario,
- Bagni Pubblici di via Agliè (Barriera di Milano),
- Hub Cecchi Point (Aurora),
- Casa nel Parco (Mirafiori Sud),
- +Spazio4 (San Donato),
- Barrito (Nizza Millefonti),
- Bossoli83 (Lingotto),
- Casa di Quartiere Vallette.
Uno dei prodotti di questo percorso è il “Manifesto delle Case del Quartiere di Torino”: un documento che raccoglie in dieci punti gli elementi che caratterizzano questi spazi. Il Manifesto è un utile strumento per diffondere l’esperienza a livello regionale, nazionale e europeo e contribuire ad una politica culturale dove i cittadini sono protagonisti dell’agire sociale e i territori sono la risorsa locale.
Il convegno nazionale “Abitare una Casa per abitare un Quartiere” è stata l’occasione per un confronto fra esperienze che in Italia e in Europa stanno allestendo nuovi spazi-laboratorio di comunità, dove i cittadini tendono ad auto-organizzarsi per far fronte a problemi quotidiani e a dar vita ad un nuovo modo di abitare la città. Gli ingredienti delle Case sono diversi, non c’è una ricetta che l’amministrazione pubblica ha pre-determinato, nascono dal territorio, in modo diverso da contesti diversi. Raccontano e accolgono.
La questione aperta è quella sulla funzione sociale di questi spazi (e sull’opportunità di una loro differente istituzionalizzazione); questo è l’interrogativo con cui si è chiuso il convegno, consapevoli della ricchezza e del valore di questi luoghi in cui si offre la possibilità alle persone di prendersi cura di un pezzo del proprio quartiere.
MANIFESTO DELLE CASE DEL QUARTIERE
1. LUOGHI APERTI A TUTTI I CITTADINI
2. SPAZI DI PARTECIPAZIONE ATTIVA
3. LUOGHI ACCESSIBILI, ACCOGLIENTI E GENERATIVI DI INCONTRI
4. SPAZI DI TUTTI MA SEDE ESCLUSIVA DI NESSUNO
5. CONTENITORI DI MOLTEPLICI PROGETTUALITÀ
6. GLI OPERATORI: COMPETENTI ARTIGIANI SOCIALI
7. LUOGHI INTERMEDI FRA IL PUBBLICO E IL PRIVATO
8. SPAZI ALLA RICERCA DEL GIUSTO RAPPORTO TRA AUTONOMIA ECONOMICA E SOSTEGNO PUBBLICO
9. LUOGHI RADICATI NEL TERRITORIO
10. STRUTTURE CON UNA PROPRIA FORMA DI GOVERNANCE